Stavolta mi trovo leggermente in difficoltà.
Si, perchè quando ho acquistato il libro La quinta stagione, sapevo di avere tra le mani quello che si può definire un caso letterario. Non per niente la Jemesin ha vinto nel 2016 il premio Hugo per questo romanzo distopico, tra l’altro diventando la prima scrittrice afroamericana a vincere questo riconoscimento nella categoria Miglior romanzo. Voglio dire, non è qualcosa da tutti… eppure…
Titolo: La quinta stagione (La terra spezzata #1)
Autore: N. K. Jemisin
Editore: Mondadori (Oscar Vault)
Pagine: 349
Prezzo: 15,00 €
Trama: È iniziata la stagione della fine. Con un'enorme frattura che percorre l'Immoto, l'unico continente del pianeta, da parte a parte, una faglia che sputa tanta cenere da oscurare il cielo per anni. O secoli. Comincia con la morte, con un figlio assassinato e una figlia scomparsa. Comincia con il tradimento e con ferite a lungo sopite che tornano a pulsare.
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Dopo aver letto libri come Fidanzati dell’inverno (qua la recensione), ho capito che, per quanto hype un libro possa avere, non devo aspettarmi di trovare necessariamente una corrispondenza tra le mie impressioni e quelle che si trovano in giro su internet. Ed ero partita con questo spirito anche quando ho iniziato a leggere La quinta stagione. E di hype intorno a questo libro ce n’è un sacco. Poi, come ho scritto nell’introduzione, questo libro ha vinto un premio Hugo, e nonostante tutto, è difficile avere basse aspettative quando parti da questo presupposto. In ogni caso sapevo che questo libro avrebbe potuto piacermi, avrebbe potuto non piacermi, ma comunque avrebbe contenuto degli aspetti che, nel complesso, gli avrebbero valso il merito di un Hugo.
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L’HO DETTO. E non lo nego.
Non so come sia possibile una cosa del genere. Inizio a dubitare di me stessa. Fino ad ora non ho ancora letto una, e dico una, recensione negativa su questo libro. Nessuno che non ne fosse entusiasta, nessuno che gli desse meno di 5 stelle, che non ne esaltasse la trama, le vicende ricche di colpi di scena e adrenalina…
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Sto seriamente mettendo in dubbio il mio metro di giudizio.
Non so che dirvi, ogni pagina di questo libro per me è stata pesante, noiosa, tanto da non aver molta voglia di leggere durante quei giorni. Vi dico solo che ci ho impiegato lo stesso tempo che mi è servito per leggere Il priorato dell’albero delle arance. Che ha più del doppio delle pagine.
Bene. Andiamo alla trama.
Questo libro inizia presentandoci tre protagoniste, tre donne di diversa età: la piccola Damaya, la giovane Syenite e la matura Essun. Queste tre donne hanno qualcosa in comune: vivono tutte e tre in questo mondo surreale e distopico, l’Immoto, un luogo dilaniato da quelle che vengono comunemente chiamate le “Stagioni”, cioè periodi di lunghezza variabile in cui la natura, o meglio, Padre Natura, si scaglia con tutta la sua violenza e malvagità sulla Terra, ogni volta in maniera diversa: siccità, piogge acide, terremoti, maremoti, temperature glaciali o eruzioni vulcaniche sono solo alcune delle devastazioni delle Stagioni passate, a riguardo delle quali troviamo un’appendice a fine libro che ci può aiutare ad entrare meglio in questo ambiente così desolato e instabile. Un’altra cosa accomuna le nostre tre protagoniste: sono delle “orogene”. E’ così che gli immoti chiamano la gente che possiede i soprannaturali (e spregevoli) poteri di controllare la terra e i suoi movimenti, al punto da poter scatenare o arrestare potentissimi terremoti. Così come tutti gli altri rogga dell’Immoto (per usare un termine dispregiativo che sta per orogeni), vengono temuti, emarginati, allontanati da tutti, addirittura uccisi. Per sfruttare questo potere in maniera utile alla società (e per controllarlo), un’organizzazione chiamata il Fulcro, a cui capo ci sono i cosiddetti Custodi, ha fondato una sorta di accademia militare, in cui addestrare gli orogeni fin da bambini (“granelli”), per potergli insegnare a utilizzare i loro poteri per contrastare le frequenti scosse di terremoto dovute ai pericolosissimi movimenti delle placche terrestri… ma anche per poter eliminare chi non si dimostra capace di controllo e disciplina. Quest’ordine militare è gerarchizzato da una sorta di grado che i Custodi assegnano agli orogeni in base alla loro esperienza e abilità, misurata in anelli, da uno a dieci. Conosciamo l’unico dieci anelli vivente, Alabaster, nei capitoli di Syenite, una quattro anelli che, sotto la sua custodia, viene incaricata di distruggere una barriera corallina che ostruisce il libero flusso di navi in una città costiera. Ma è anche un altro il motivo per cui il Fulcro presenta Alabaster a Syenite: il loro compito è accoppiarsi, come se fossero animali, in modo da procreare un bambino che poi il Fulcro avrebbe potuto aggiungere alla sua “collezione” di potenti orogeni.
«Non vuoi essere solo… umana?»
«Noi non siamo umani.»
«Sì. Noi. Lo. Siamo.» Il suo tono diventa violento. «Non me ne frega un cazzo di ciò che ha stabilito il consiglio di Vattelapesca di grandi, importanti stronzi o di come classificano le cose i geomestri e di nient’altro del genere. Che noi non siamo umani è solo la balla che si raccontano per non sentirsi in colpa per come ci trattano.»
Damaya invece è solamente una bambina quando i suoi genitori scoprono per la prima volta i suoi poteri; non solo la rinnegano in una maniera a dir poco crudele, ma la cedono ad un Custode che la condurrà al Fulcro per iniziare il suo addestramento. Tramite i suoi occhi possiamo osservare questo grande sistema militare dall’interno, e capirne di più sulle sue ferree regole.
«La realtà dei fatti, Damaya, è che tu non sai controllarti. Non è nella tua natura. Sei come il fulmine, pericoloso se non viene catturato da fili metallici. Sei fuoco.. di certo una luce calda in una notte buia e fredda, ma anche una deflagrazione che può distruggere tutto sul suo cammino…»
Infine conosciamo Essun, una madre straziata dal dolore di rientrare a casa un giorno da lavoro, e trovare il cadavere del suo bambino di quasi tre anni, picchiato a morte dal padre. Essun, con il cuore dilaniato, decide di partire, di mettersi sulle orme di suo marito, non solo per ucciderlo e trovare pace nella vendetta, ma anche e soprattutto per ritrovare (si spera ancora in vita) la sua figlia primogenita, vista per l’ultima volta proprio insieme a suo padre e poi scomparsa insieme a lui. Perchè quest’uomo è stato in grado di picchiare a morte un bambino così piccolo? Perchè aveva appena scoperto che anche lui era un orogeno. Questo per farvi capire il livello di paura e odio che gli immoti nutrono dei loro confronti.
I capitoli di Essun sono scritti in seconda persona. SI, avete letto bene. Del tipo:
“Sei madre di due figli, ma uno di loro è morto e l’altra è scomparsa. Forse è morta anche lei. Scopri tutto questo un giorno quando torni a casa dal lavoro.”
All’inizio questa cosa mi aveva lasciata leggermente interdetta, ma devo dire che dopo un po’ mi sono abituata, e, anzi, è un metodo narrativo in grado di farti entrare molto di più in empatia con il personaggio e il suo dolore, come se stessimo guardando il tutto attraverso i suoi occhi.
Come potreste aver intuito, il worldbuilding è decisamente complesso. Tutta la prima parte del libro non è altro che preparatoria a tutto questo mondo assurdo e surreale, e vi servirà un po’ di tempo per acclimatarvi a tutto ciò. Per quanto mi riguarda, una volta fatta pace con i nomi e le stranezze… bhe, neanche allora sono riuscita a entrare dentro la storia. L’ho trovata lenta, piatta, a tratti noiosa… era da tempo che non mi capitava di dover rileggere intere frasi mille volte perchè non ci stavo capendo nulla e perchè la soglia dell’attenzione era drasticamente sotto i piedi. Non vi nascondo che verso la fine qualcosa succede… ma per arrivarci… CHE FATICA. In più c’è tutta questa questione su ‘sti benedetti obelischi, che si muovono in cielo per fattacci loro, e vengono attratti dalla presenza degli orogeni, e da cui gli orogeni traggono poteri… secondo me ha creato una confusione incredibile. Mi auguro che sia un aspetto che venga chiarito meglio nei libri successivi, ma a questo punto non saprei dire se ho così tanta voglia di leggerli, vista la fatica che ho fatto per arrivare alla conclusione di questo. Lo stesso dicasi anche per i Mangiapietra: persone con lo spaventoso potere di pietrificare gli esseri viventi, e di nutrirsi, come dice il nome stesso, appunto di pietre. E’ una figura che non viene approfondita quasi per niente; mi aspetto che troveranno maggior respiro nei libri seguenti della saga, ma ai fini del primo libro, secondo me, questo aggiunge solamente confusione alla confusione.
Adesso potete capire il mio smarrimento. Non so se vi sia mai capitato di trovarvi in questa situazione, cioè di non trovare riscontro (per usare un eufemismo) nell’enorme clamore ottenuto da un qualcosa (non solo da un libro) che secondo voi sia stato decisamente deludente e addirittura mediocre.
Non linciatemi se non siete del mio stesso pensiero, piuttosto provate a farmi indossare i vostri occhi e farmi capire cosa non ho capito di questo primo romanzo de La terra spezzata della Jemisin.
Come sempre, vi abbracciamo
Io l'ho letto l'anno scorso e gli ho dato 5 stelle, mentre adesso sto leggendo il secondo, Il Portale degli obelischi. Ricordo che mi prese davvero parecchio e non riuscivo a smettere di leggerlo! Quello che dici mi è successo di recente con Aurora Rising invece...
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